CARL GUSTAV JUNG

Gli Archetipi e l’inconscio collettivo (1)
Come abbiamo già accennato, mandala significa cerchio. Il motivo qui presentato possiede numerose varianti, fondate però tutte quante sulla quadratura del cerchio. Il loro motivo di base è l’idea d’un centro della personalità, di una sorta di punto centrale all’interno dell’anima al quale tutto sia correlato, dal quale tutto sia ordinato e il quale sia al tempo stesso fonte di energia. L’energia del punto centrale si manifesta in una coazione pressoché irresistibile, in un impulso a divenire ciò che si è; così come ogni organismo è costretto, quale che siano le circostanze, ad assumere la forma caratteristica della propria natura. Questo centro non è sentito né pensato come Io ma, se così si può dire, come Sé. Benché il centro sia costituito dal punto più interno, esso possiede anche una circonferenza, un contorno, in cui è contenuto tutto ciò che appartiene al Sé, ossia le coppie di opposti costituenti la personalità nel suo insieme. A questa totalità appartiene in primo luogo la coscienza, poi il cosiddetto inconscio personale, infine un segmento indefinitamente vasto dell’inconscio collettivo, i cui archetipi sono comuni a tutto il genere umano. Un certo numero di archetipi sono invece permanentemente o temporaneamente inclusi nella sfera della personalità e acquisiscono, attraverso questo contatto, un’impronta individuale: come ad esempio, per citare solo le figure più note, l’Ombra, l’Animus e l’Anima. Il Sé, se da un lato è semplice, dall’altro è estremamente composito, una conglomerate soul per servirmi di un concetto della religione indiana. (2)
Che cosa sono i mandala (3)
La parola sanscrita mandala significa in generale "cerchio". Nell’ambito delle pratiche religiose e nella psicologia essa designa immagini circolari che si possono disegnare, dipingere, modellare plasticamente o tracciare danzando. Immagini plastiche di questo tipo si riscontrano in special modo nel buddhismo tibetano; come figure di danza esse sono eseguite nei monasteri dervisci; come fenomeni psicologici affiorano spontaneamente nei sogni, in certi stati conflittuali e nella schizofrenia. Molto spesso i mandala contengono una quaternità o multiplo di quattro nella forma di croce, stella, quadrato, ottagono ecc. Nell’alchimia questo motivo ha assunto la forma della quadratura circuli.
Nel buddhismo tibetano il mandala ha il significato di strumento culturale (yantra) che dovrebbe aiutare la meditazione e la concentrazione. Il suo significato è alquanto simile nell’alchimia, dove rappresenta la combinazione dei quattro elementi di direzioni opposte. La comparsa spontanea del mandala negli individui moderni consente all’indagine psicologica di esplorare più a fondo il significato funzionale. Di regola, infatti, il mandala appare negli stati di disorientamento o dissociazione psichica, per esempio nei bambini di età compresa fra gli otto e gli undici anni, i cui genitori siano in crisi o negli adulti che, in seguito all’insorgere di una nevrosi e al suo trattamento, si siano confrontati con il problema degli opposti nella natura umana e ne siano rimasti disorientati. O ancora negli schizofrenici, la cui visione del mondo si sia alterata e confusa per l’irruzione di contenuti inconsci incomprensibili. In tali casi si vede chiaramente come l’ordine severo imposto da un’immagine circolare come quella mandalica compensi il disordine e la confusione dello stato psichico: e ciò attraverso la costruzione di un punto centrale al quale è correlata ogni cosa, o di una disposizione concentrica del molteplice, dell’opposto, dell’inconciliabile. Evidentemente si tratta di un "tentativo di guarigione da parte della natura stessa", tentativo che non deriva da una riflessione cosciente, ma da un impulso istintivo. Viene utilizzato cioè, come la ricerca comparata dimostra, uno schema fondamentale, un archetipo: esso si presenta per così dire ovunque e non deve in nessun modo la sua esistenza individuale unicamente alla tradizione, non più di quanto alla tradizione ricorrano, per trasmettersi, gli istinti, i quali son dati con ogni individuo alla sua nascita e appartengono al patrimonio inalienabile di una specie. Ciò che la psicologia designa con il nome di archetipo non è nient’altro che un determinato aspetto formale, frequentemente presente, dell’istinto, dato a priori come quest'ultimo. Di conseguenza, malgrado tutte le differenze esterne e indipendentemente dall’origine spaziale e temporale, si riscontra nei mandala una sostanziale conformità.
La "quadratura del cerchio" è uno dei tanti motivi archetipici che stanno alla base delle forme assunte dai nostri sogni e dalle nostre fantasie. La quadratura del cerchio è però uno dei motivi più importanti dal punto di vista funzionale: lo si potrebbe infatti addirittura designare come "l’archetipo della totalità". In virtù di questo significato, la "quaternità come unità" è lo schema per tutte le immagini di Dio, come dimostrano le visioni di Ezechiele, Daniele, Enoch (4), nonché la raffigurazione di Oro con i suoi quattro figli. Quest’ultima presenta un’interessante differenziazione, in quanto a volte tre figli son rappresentati con testa animale e uno soltanto con testa umana; a ciò corrispondono le visioni dell’Antico Testamento, gli emblemi dei serafini riportati dagli evangelisti e last but not least, la natura degli stessi Vangeli: tre sinottici e uno gnostico. Per completare, devo aggiungere che dal racconto di apertura del Timeo platonico ("Uno, due, tre: e dov’è, caro Timeo, il quarto?...") fino alla scena dei Cabiri nella seconda parte del Faust, il motivo del quattro come tre e uno ha rappresentato la preoccupazione costante dell’alchimia.
Il profondo significato della quaternità, con il suo singolare e secolare processo di differenziazione che si manifesta anche nel più recente sviluppo del simbolismo cristiano (5), potrebbe spiegare perché "Du" (6) abbia scelto come esempio della formazione del simbolo proprio l'archetipo della totalità. Come nei documenti storici questo simbolo riveste una posizione centrale, così anche nell'individuo esso ha un significato di capitale importanza. I mandala individuali presentano, come c’era da aspettarsi, un’enorme multiformità. Nella stragrande maggioranza essi son caratterizzati dal cerchio e dalla quaternità. In alcuni predomina però a volte, per particolari ragioni, anche il tre e il cinque.
Mentre i mandala cultuali hanno sempre come contenuto uno stile particolare e un numero limitato di motivi tipici, i mandala individuali usano una quantità per così dire illimitata di motivi e allusioni simboliche, dalle quali non è difficile vedere che essi cercano di esprimere o la totalità dell’individuo nella sua esperienza interna o esterna del mondo oppure il suo punto di riferimento essenziale, interiore. Il loro oggetto è il "Sé", in contrapposizione all’"Io": questo non è che il punto di riferimento della coscienza, mentre il Sé comprende la totalità della psiche, vale a dire la coscienza, e l’inconscio. Non di rado, quindi, il mandala individuale presenta una divisione in due metà, una chiara e l’altra scura, con i loro simboli caratteristici. Un esempio storico di questo tipo è il mandala che Jacob Böhme ha incluso nel trattato intitolato Viertzig Fragen von der Seele. Il suo mandala rappresenta però, al tempo stesso, un’immagine di Dio, designata come tale. La cosa non è accidentale, in quanto la filosofia indiana, che più di ogni altra ha sviluppato l’idea del Sé atman o purusa, non fa nessuna distinzione di principio tra l’essenza umana e quella divina. Analogamente, nel mandala occidentale, la scintilla contraddistingue l’essenza più intima, divina dell’uomo con simboli che potrebbero parimenti esprimere l’imago Dei: e cioè con l’immagine della divinità così com’essa si dispiega nel mondo, nella natura, nell’uomo.
Che queste immagini abbiano, in circostanze determinate, considerevoli effetti terapeutici sui loro autori, è un fatto empiricamente costatato e anche facilmente comprensibile, in quanto esse rappresentano spesso un tentativo molto audace di cogliere e sanare contrasti apparentemente inconciliabili e di superare divisioni apparentemente irriducibili. Già un mero tentativo in questa direzione ha di solito un effetto benefico, a condizione però che avvenga spontaneamente. Da un’artificiosa ripetizione o da una deliberata imitazione non c’è da attendersi nulla. (7)
Carl Gustav Jung1. Jung, C. G., Die Archetypen und das kollektive Unbewusste, Walter-Verlag-Olten, 1976 [trad.it.: Gli Archetipi e l’inconscio collettivo, Boringhieri, Torino 1980]
2. Id., p. 349 [Titolo originale: Uber Mandalasymbolik. Pubblicato per la prima volta in: Gestaltungen des Unbewussten, "Psychologische Abhandlungen", vol. 7 (Zurigo 1950)].
3. Titolo originale: Mandalas. Scritto per: Du, Schweizerische Monatsschrift (Zurigo), vol. 15, N. 4, 16-21 (1955), datato "gennaio 1955". Il numero della rivista era dedicato alle sessioni "Eranos" ad Ascona e all’opera di C. G. Jung. L’articolo era illustrato con riproduzioni di mandala.
4. Ezechiele, 1. 5 sgg.; Daniele, 7. 1 sgg.; Il libro di Enoch, 22. 2 sgg.
5. Proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria; nel novembre 1950. Vedi Psicologia e religione (1938/1940) pp. 76 sgg.; Saggio d'interpretazione psicologica del dogma della Trinità (1942/1948) pp. 167 sgg. e Risposta a Giobbe (1952) pp. 442 sgg.
6. "Du" è il titolo della rivista per la quale Jung scrisse quest’articolo.
7. Die Archetypen und das kollektive Unbewusste, p. 381