GEORGES POULET

Le metamorfosi del cerchio (1)
[Poulet riguardo a Pascal]
1.1 Ma la circonferenza è l’uomo. L’uomo appare a se stesso come un colosso e come un mondo; questo mondo contiene l’infinito, ma lo contiene senza comprenderlo. Come non poteva darsi comprensione del mondo per chi se ne costituiva centro senza raggiungere la circonferenza, così non ci può essere comprensione del mondo per chi si colloca alla circonferenza senza mai pervenire al centro. L’ignoranza del minimo è uguale a quella del massimo. Nell’un caso e nell'altro si ha una mancanza di rapporto. La totalità senza unità equivale all’unità senza totalità. La sproporzione, assoluta, è sempre la stessa.
Quando ci si pone al centro, scompare la circonferenza; quando ci si pone alla circonferenza, non c’è più il centro. I due modi di pensare conducono alla stessa volatilizzazione, alla stessa sparizione. L’unica possibilità di uscire dall’antinomia consisterebbe nel potersi collocare contemporaneamente nel centro e nella circonferenza, ma l’uomo non ne è capace. Perciò in qualunque posizione si ponga, in qualunque modo pensi, il mondo gli sfugge in altezza o in profondità. Alternativamente la circonferenza e il centro delle cose non si trovano in nessun luogo. Alla fine l’uomo si trova in un mondo svuotato di tutti i possibili rapporti, in un posto qualunque, in mezzo ad una sfera, la cui circonferenza e il cui centro, «fuggendo di eterna fuga», non si trovano mai in nessun tempo né in nessun luogo. In tutte le direzioni si ha sempre la stessa ignoranza. La catastrofe sembra quindi totale. Il movimento transitivo con cui il pensiero aveva voluto raggiungere eccentricamente e concentricamente la verità finisce soltanto per gettare il pensatore «in mezzo agli estremi», a distanza infinita dal centro e dalla circonferenza, sulla stessa incerta riva da cui era partito. «Ecco dove ci conducono le conoscenze naturali (2)». (3)
1.2 Per gli uomini del diciottesimo secolo, in effetti l’anima è simile ad un ragno al centro della sua tela; da questa sede essa mantiene una infinità di rapporti col mondo circostante. Un Montesquieu, un Pope, un Diderot rappresentano così quella che è per loro la funzione essenziale dell’uomo: costruire un reticolato più ampio possibile, una tela che metta il centro in comunicazione con l’intero universo.
Per Rousseau non c’è invece follia più pericolosa di questo sviluppo eccentrico: «Non vi state ad immaginare che estendendo le vostre facoltà estendiate anche le vostre forze; finite al contrario per diminuirle, se il vostro orgoglio si estende più di esse. Misuriamo il raggio della nostra sfera, e restiamo al centro come l’insetto in mezzo alla sua tela; basteremo sempre a noi stessi... (4)».
Mentre per Montesquieu o Diderot il ragno sta al centro perché da quel punto può entrare più agevolmente in comunicazione con la periferia, Rousseau vuole invece che il suo ragno resti al centro così come si rimane in fondo alla propria tana, come si sceglie il posto più solitario, il più lontano da tutti i punti della periferia. Qui la ragnatela perde ogni facoltà recettiva, ogni potere diffusivo. Invece di voler espandere la sua ragnatela, l’insetto disincantato non si augura neppure più di ricevervi delle prede. Pensa di ricavare soltanto da sé il proprio sostentamento; rinuncia ad ogni estensione o importazione. E’ un ragno che si rimangia i fili, un centro che raccoglie i suoi raggi: Cominciamo col ridiventare noi stessi, col concentrarci in noi, col circoscrivere la nostra anima con gli stessi limiti che la natura ha dato al nostro essere; in una parola incominciamo a raccoglierci dove siamo, affinché, cercando di conoscerci, si venga a presentare contemporaneamente davanti a noi tutto quello di cui siamo composti (5). (6)
1.3 Il centro, specchio della circonferenza, rivela ad essa la sua perfezione, allo stesso modo che la circonferenza, riflettendo il centro, gli restituisce un’immagine di lui infinitamente amplificata. Specchiandosi nel cerchio, il centro scopre la propria profondità e, conseguentemente, la possibilità di trasformarla in estensione. Senz’altro in questo senso bisogna comprendere la formula di Novalis: «Ci portiamo dentro una singolare tendenza ad espanderci in tutte le direzioni a partire da un centro infinitamente profondo (7) ».
A volte, come in Hegel, questa nuova concezione del cerchio si limita ad una teoria della conoscenza. Il centro è la coscienza che si circonda del cerchio delle sue idee.
Ma siccome per Hegel la coscienza coincide con l’idea, e questa stessa idea, superando se stessa, si trasforma in un’idea più vasta, il pensiero hegeliano si può concepire, e d’altronde viene spesso descritto dal suo autore, sotto forma di cerchi che si incastrano gli uni negli altri. «Coloro la cui infinità è l’io» scrive Hegel, «sono anch’essi infiniti, riflessi di sé su se stessi, non semplici cerchi, ma cerchi che hanno il loro principio in altri cerchi e sono i cerchi di quei cerchi (8).»
In una simile concezione del cerchio, la circonferenza resta puro oggetto di conoscenza. Non è dunque essa, in quanto tale, che importa, ma piuttosto il movimento con cui il pensiero si porta verso di essa e le proietta sopra una luce che emana dalla sua sorgente. Si ha dunque una centralità in certo senso radiante del pensiero. Tutto il Romanticismo, non soltanto tedesco, ma europeo, ne prende coscienza e ne fa menzione. «Il genio dell’uomo» scrive Chateaubriand, «non circola affatto dentro un cerchio da cui non può uscire. Anzi ... traccia dei cerchi concentrici che si vanno allargando e la cui circonferenza si accrescerà incessantemente in uno spazio infinito (9).» Analogamente, la poesia di Lamartine si presenta essenzialmente come una illimitata espansione del pensiero e della parola nello spazio. «L’uomo è soltanto un punto», dice, ma questo punto
de l’Infini par la pensée est maître
Et, reculant sans fin les bornes de son être,
S’étend dans tout l’espace et vit dans tous les temps
(10).
L’uomo è dunque simultaneamente centro e cerchio: centro per il principio attivo del suo pensiero, cerchio per il contenuto infinito di questo. E’ appunto quello che dice Shelley in diversi punti dei suoi scritti teorici: «Ognuno è contemporaneamente il centro e la circonferenza, il punto a cui si riferiscono tutte le cose, e la linea all’interno della quale tutte le cose stanno racchiuse (11)». E altrove, in una formula più condensata e più brillante: «La poesia è contemporaneamente il centro e la circonferenza della conoscenza (12)». Non diversamente si esprime Keats: «E’ una vecchia massima la mia, ed è evidentemente ben nota: ogni punto di pensiero è il centro di un universo intellettuale (13)». Nessuno più di Wordsworth ha una così viva coscienza dei vantaggi che si ricavano dal fissare per sempre il proprio pensiero in una posizione centrale, dalla quale il mondo si scopre, in profondità come in superfice, simile ad una sfera che racchiuda la verità:
... Hither come and find a lodge
To which thou may’st resort for holier peace,
From whose calm centre thou, through height or depth,
May’st penetrate, wherever truth shall lead
(14). (15)
1.4 Il centro ha il compito di proiettare i suoi raggi all’interno del cerchio, non di mandarli al di là. In tutti i sensi della parola, Goethe è uno che si accontenta di vivere all’interno del proprio cerchio. Lo si vede chiaramente dalla corrispondenza: «Adesso non mi preoccupo quasi più di ciò che è al di fuori della mia cerchia (16)». «Per quanto mi concerne, sono felice. Gli affari, le scienze, un paio di amici, questa è tutta la cerchia in cui vivo e dentro la quale mi sono saggiamente trincerato (17)».
Essere in un cerchio significa essere felice. Il cerchio o la sfera sono l’immagine stessa della felicità:
Si ha l’abitudine di definire la felicità tonda come una sfera, in virtù della sua grande mobilità, e questa espressione è doppiamente esatta, perché questo paragone vale anche in un altro senso. Quando sta immobile, la sfera si presenta agli occhi di chi guarda sotto l’aspetto di un essere soddisfatto, perfetto, racchiuso in se stesso (18).
L’esistenza felice, perfetta, è dunque quella che si presenta sotto la forma di un cerchio o di una sfera, o meglio è quella che prende coscienza di sé, dello spazio che occupa, degli esseri e degli oggetti a cui si associa, e infine della continuità di tempo con cui si sente solidale, sotto la forma di una stessa totalità sferica. Se sentiamo un così perfetto adeguamento tra l’io di Goethe e il mondo di cui è il centro, il fatto è che quell’io e quel mondo fanno parte di un sistema di cui si riconosce immediatamente l’unità. «Essere soddisfatto, perfetto, racchiuso in se stesso» vuole appunto dire questo. Salta immediatamente agli occhi l’ammirevole coerenza di tutti gli elementi che compongono la vita, l’universo, l’opera di Goethe.
Ma perché questa coerenza si realizzi bisogna che venga assolutamente superata l’opposizione soggetto-oggetto, centro-circonferenza. Abbiamo visto che può esserlo per mezzo del trionfo del principio soggettivo: allora il mondo oggettivo si trova centralizzato, soggettivato. Non è certo questa la soluzione di Goethe. Avrà forse adottato la soluzione contraria, quella che implica la vittoria della oggettività? Per un attimo lo si potrebbe credere, se subito non si pensasse che c’è e non cessa mai di esserci una coscienza goethiana, che in Goethe il principio centrale non soltanto sopravvive alla pressione dell’oggettività, ma nella coscienza di questa pressione trova la sua caratteristica essenziale. In altri termini, qui la coscienza non esiste mai in sé e per sé, ma si concepisce soltanto come coscienza di oggetti.
Il centro pensa il cerchio. Non si potrebbe descrivere più brevemente né più esattamente l’atteggiamento goethiano. Il cerchio è oggetto del centro; né il centro né il cerchio si possono concepire indipendentemente l’uno dall’altro. Perciò si potrebbe definire questo atteggiamento come una felice conciliazione o riconciliazione delle due componenti opposte. Resta tuttavia da risolvere un importante problema: in Goethe il centro può mai pensare se stesso? La coscienza goethiana, assorbita com’è nel suo oggetto periferico, è condannata a restare esclusivamente coscienza del suo oggetto e a non essere mai coscienza del soggetto?
Si sarebbe tentati di rispondere di sì. Sì, Goethe è destinato a non arrivare mai alla pura coscienza di sé. Mai lo vediamo collocarsi per così dire nell’interiorità del centro. (19)
1.5 [brano di Amiel]
C’e una facoltà che pochissimi uomini conoscono e che quasi nessuno esercita; la chiamerò la facoltà di reimplicazione. Potersi semplificare gradualmente e illimitatamente; poter rivivere realmente le forme dissolte della coscienza e dell’esistenza; per esempio, spogliarsi della propria epoca e ripercorrere a ritroso la propria stirpe fino a diventare l’antenato di se stesso; più ancora, svincolarsi dalla propria individualità fino a sentirsi positivamente un altro; meglio ancora, disfarsi della propria attuale organizzazione dimenticando e spegnendo a poco a poco i propri diversi sensi e rientrando simpaticamente, per mezzo di una specie di meraviglioso riassorbimento nello stato psichico anteriore alla vista e all’udito; più ancora, ridiscendere in questa involuzione fino allo stato elementare di animale e addirittura di pianta; e più profondamente ancora, mediante una crescente semplificazione, ridursi allo stato di germe, di punto, di esistenza latente; cioè liberarsi dallo spazio, dal tempo, dal corpo e dalla vita, rituffandosi, di cerchio in cerchio, fino alle tenebre del proprio essere primitivo, riprovando, attraverso infinite metamorfosi, l’emozione della propria genesi e ritirandosi e condensandosi in sé fino alla virtualità del limbo: facoltà preziosa e troppo rara, supremo privilegio dell’intelligenza, giovinezza spirituale a volontà (20). (21)
1.6 [brano di Flaubert]Ho ritrovato delle vecchie incisioni che avevo colorato a sette o otto anni e che dopo non avevo più rivisto. Ci sono delle rocce dipinte di blu e degli alberi verdi. Davanti ad alcune di esse (tra le altre un’aratura in mezzo al ghiaccio) ho riprovato dei terrori che avevo avuto da piccolo...I miei viaggi, i miei ricordi infantili, ogni cosa prende colore dalle altre, si mette testa a testa, danza con prodigiosi scintillii, e sale a spirale (22). (23)
1.7 In realtà sembra molto probabile che col simbolo della spirale che sale all'infinito, Flaubert volesse esprimere una volta di più quell’allargamento circolare degli orizzonti umani che aveva descritto da tutte le altre parti. Se vogliamo averne una prova di più non abbiamo che da riferirci alla Correspondance. Il 21 marzo 1852 Flaubert scrive a Louise Colet: «Il cuore nei suoi affetti, così come l’umanità nelle sue idee, si estende continuamente in cerchi più ampi (24)». E il 27 marzo 1853: « Capisci che questo non è amore, ma qualcosa di più alto, mi pare, perché questo desiderio dell’anima rappresenta per lei quasi un bisogno di vivere, di dilatarsi, di essere più grande. Ogni sentimento è una espansione (25)». Ma tra tutte le frasi della Correspondance non ce n’è nessuna che illumini meglio l’«estensione» flaubertiana di questa: «La mia esistenza, come una palude sonnacchiosa e così tranquilla che il più piccolo avvenimento che vi si produce dà luogo a innumerevoli cerchi... (26)». Ecco appunto il tema di Madame Bovary, così come lo abbiamo visto definito. (27)
1.8 La limitazione imposta dal cerchio non è d’altronde semplice, bensì doppia. In un cerchio non esiste soltanto un orlo esterno, tracciato dalla circonferenza, ma all’interno c’è un punto limite che è il centro. E’ vero che per alcuni spiriti come Plotino, Nicola Cusano, Boehme, Amiel o Blanchot, il centro non costituisce un limite. E’ una specie di infinito interiore, una sorta di abisso. Per James invece il centro, è un punto di sosta, il luogo in cui si incontrano e si arrestano le convergenze. Come si è visto, la limitazione circonferenziale può essere formata dall’insieme degli oggetti esterni su cui di volta in volta si posa lo sguardo che emana dal centro. Tuttavia, poiché ci sono due limiti, è facile invertirli e, rovesciando la prospettiva, fare in modo che l’oggetto divenga il punto di arrivo di un movimento di prospezione e di esplorazione (bisognerebbe poter dire di inspezione e di implorazione) proveniente dalla periferia. (28)
1.9 Perciò da Tête d’or a tutta l’opera successiva il passaggio di Claudel non è caratterizzato soltanto dalla conversione a Dio (mistico lo era già, naturalmente allo stato selvatico), ma anche dalla conversione al limite o alla misura. Raggiungendo Dio Claudel raggiunge al tempo stesso i confini della sua espansione; tocca il fondo, si riconosce al di qua dell’infinito. Da quel punto in poi lo spazio in cui si dilatava circolarmente cambia carattere. E’ uno spazio finito circondato, come nel Medioevo, da uno spazio infinito, Dio o l’Empireo: «La vera immagine dell’infinito è il cerchio, lo zero... Ma il cerchio è al tempo stesso la perfetta immagine del finito, della creazione realizzata (29)». All'interno di questo spazio finito tutto è finito, a cominciare da me stesso. Sono un’onda che si distende, una forza eccentrica e centrifuga; ma sono anche una forza che si arresta al limite, che rifiuta di andare più lontano. Io sono caratterizzato non soltanto dal mio potere d’espansione ma anche di ostinazione. Gli oggetti che scoprivo attorno a me come penetrabili e assimilabili, diventano delle forze esterne con cui entro in contatto e in lotta. Essi mi resistono e io resisto loro; essi formano cerchio e pressione attorno a me e io faccio cerchio contro di loro. Io sono il loro limite, ed essi sono il mio limite. Io li escludo e loro escludono me. Io ricavo informazione e conoscenza da questa reciproca incompatibilità. Al di qua del mondo circolare che estende concentricamente attorno a me la sfera delle sue molteplici pressioni, io sono una sfera sulla cui superficie esse producono delle indentazioni. Con questo mezzo conosco l’esterno, così come attraverso la mia resistenza conosco l’interno. Del suo essere Claudel si fa un immagine non diversa da quella di una massa di armi ammaccate. «L’esperienza circoscrive l’uomo (30)». Ma lo indenta anche:
Se ci rappresentiamo schematicamente il campo della vibrazione animale come un cerchio la cui ultima onda sia la circonferenza, ci possiamo raffigurare ogni impressione, ogni sensazione come proveniente dall’esterno, mediante una indentazione che interessa non soltanto la forma esterna, ma anche tutta l’estensione dell’area che circoscrive. Ogni onda che parte dal centro si viene a flettere contro questo ostacolo (31).
Io sono dunque limitato sia dall’interno che dall’esterno dal mio potere di resistenza e dalla resistenza delle cose. La chiusura è da tutti e due i lati. Ma questa chiusura non implica soltanto per me l’impossibilità di continuare la mia espansione eccentrica, ma anche la possibilità di conoscermi conoscendo i miei limiti. Perciò il rifiuto che Claudel oppone a tanti pensieri o persone non ha per causa l’ignoranza, l’arroganza, la mancanza di curiosità o di carità. E’ solo che lui resiste; e, resistendo, si comprende. Il teatro claudeliano ha per oggetto principale la scoperta che i personaggi fanno di loro stessi opponendosi agli altri. Se la connaissance è una conaissance, avviene come in politica con la scoperta delle pressioni reciproche che le sfere di influenza esercitano le une sulle altre. Una forza prende coscienza di sé quando prende forma; e prende forma quando si inarca dentro i suoi limiti: «Ogni essere vivente è un cerchio più o meno modificato, ma sempre limitato da un contorno (32)». «Ogni cosa definisce ed è definita (33)».
La forza d'espansione è dunque diventata una forza di formazione. Partito da un punto, l’essere claudeliano si è esteso nello spazio e nel tempo in onde successive fino a un limite definito: «Ogni anno un cerchio attorno ad un cerchio viene a contare qualcosa, registrare un lasso di tempo, trasformare il flusso omogeneo in unità numerica34». Per questa ragione il tempo dell’albero o dell0uomo non si può confondere col flusso newtoniano, non più di quanto lo spazio umano possa confondersi con un’estensione infinita. Come nel divenire aristotelico, il tempo consiste nello sviluppare e nel perfezionare gradualmente una forma. Ma ogni forma è una variazione del cerchio. L’essere umano è un atto continuo con cui si forma e si chiude un’energia ondulatoria che va dal centro alla circonferenza.
Schematicamente l’onda si può definire un movimento che, partendo dal centro, raggiunge tutti i punti di un’area circoscritta dal confine che traccia nel cessare. Essa determina su tutti i punti uno spostamento totale, a cui fa seguito una reazione, o tendenza a riprendere il posto primitivo... (35)(36)
Georges Poulet
1. Poulet G., Les métamorphoses du cercle, Librairie Plon, Paris 1961 [trad. it.: Le metamorfosi del cerchio, Rizzoli, Milano 1971]
2. Pascal B., Pensées et Opuscules, a cura di Brunschvicg, Hachette, p. 567
3. Poulet G., op.cit., p. 88
4. Rousseau J.J., Emile, Garnier, p. 60
5. Rousseau Lettres morales, lettera 6, Correspondance, t. III, p. 369
6. Poulet G., op.cit., p. 131
7. Novalis (Friedrich von Hardenberg) Schriften, Bd. I, S. 17, Die Lehrlinge zu Sais: Es ist ein geheimnisvoller Zug nach allen Seiten in unserm Innern, aus einem unendlich tiefen Mittelpunkt sich rings verbreitend. Su Novalis e il tema del punto si devono leggere le eccellenti osservazioni di Maurice Besset, nel suo libro Novalis et la pensée mystique, Aubier, 1947, pp. 97-102.
8. Hegel G.W.F., Jenenser Logik, a cura di Von Lasson, S. 161:
Diejenigen, deren Unendlichkeit das Ich ist, sind selbst Unendliche, Reflexionen in sich selbst, nicht blosse Kreise, sondern welche selbst zu ihren Momenten Kreise haben und die Kreise dieser Kreise sind.9. Chateaubriand F. R., Essai sur les révolutions anciennes et modernes, in Oeuvres, a cura di Dufour, vol. II, p. 102
10. Lamartine A.M.L.P., L’Humanité, in Harmonies, Hachette, p. 160: «...col pensiero dell’Infinito si rende signore / E, allontanando all’infinito i confini del suo essere / Si estende in tutto lo spazio e vive in tutti i tempi».
11. Shelley P.B., Prose, a cura di D. L. Clark, University of Mexico Pr., 1954, p. 173,
Essai on Life: Each is at once the centre and the circumference, the point to which all things are referred, and the line in which all things are contained.12. Shelley P.B., op. cit., p. 293, A defense of Poetry: Poetry...is at once the centre and circumference of knowledge.13. Keats J., To B. Bailey, 13 March 1818: It is an old maxim of mine that every point of thought is the centre of an intellectual world.14. Wordsworth W., Excursion, Lib. III, vv. 106-109: «...Vieni a trovare qui un asilo / Dove potrai gustare una pace più santa / E dal cui centro sereno, sia in altezza che in profondità, potrai penetrare dovunque ti porti la verità».
15. Poulet G., op.cit., p. 159
16. Goethe J.W., Sämtliche Werke, A Lavater, 19 febbraio 1777:...
mich kümmert ausser meinem Kreis nun gar nichts.17. Goethe J. W., op. cit., A Knebel, 16 febbraio 1784: Persönlich bin ich glücklich. Die Geschäfte, die Wissenschaften, ein paar Freunde, das ist der ganze Kreis meines Daseins in den ich mich klüglich verschanzt habe.18. Goethe J. W., op. cit., Bd. 38, S. 58: Man pflegt das Glück wegen seiner grossen Beweglichkeit kugelrund zu nennen, und zwar doppelt mit Recht: denn es gilt diese Vergleichung auch in einem andern Sinne. Ruhig vor Augen stehend, zeigt die Kugel sich dem Betrachtenden als ein befriedigtes, volkommnes, in sich abgeschlossenes Wesen.19. Poulet G., op.cit., p. 172
20. Amiel H.F., Grains de mil, p. 138
21. Poulet G., op.cit., p. 311
22. Flaubert G., Correspondance, Conard, t. II, p. 41
23. Poulet G., op.cit., p. 358
24. Flaubert G., Correspondance, t. II, p. 373
25. Id., t. III, p. 139
26. Id., t. III, p. 289
27. Poulet G., op.cit., p. 359
28. Id., p. 427
29. Claudel P., Correspondance avec Jacques Rivière, Plon, 1926, p. 61
30. Art Poetique, Mercure de France, 1907, p. 130
31. Id., p. 100
32. Correspondance avec Jacques Rivière, p. 61
33. Art Poetique, p. 81
34. Paul Claudel interroge l’Apocalypse, Gallimard, 1952, p. 267
35. Art Poetique, cit., p. 95
36. Poulet G., op.cit., p. 442