I luoghi del sensibile
L'esperienza dell'arte come luogo, luogo mentale e luogo del visibile, luogo della forma e del gesto, della parola e del pensiero, pervade l'opera di Filippo Patella.
Mai luogo del vuoto né dell'assenza, l'arte non è per lui pura idea astratta o mera raffigurazione del reale, ma è piuttosto pratica vitale.
Una pratica complessa e articolata connessa ad una ricerca più che ventennale sui mandala. I mandala sono complicate rappresentazioni simboliche che presentano una infinita varietà di figurazioni. In sanscrito mandala significa cerchio, ma non solo: le forme mandaliche, nella assunzione di molteplici significati simbolici, sono proiezioni geometriche del processo vitale dell'universo, raffigurazioni dell'ininterrotto fluire del tempo cosmico, paradigmi dell'evoluzione e dell'involuzione del mondo.
In talune pratiche religiose o in psicologia, i mandala sono immagini circolari che disegnate, dipinte, modellate, variamente tracciate (figure di danza mandaliche si eseguono nei monasteri dervisci), aiutano la meditazione e la concentrazione.
L'interpretazione junghiana li considera figure del pensiero, immagini del raggiunto equilibrio. Segnati sul terreno e usati come pianta per la costruzione di edifici, i mandala sono segno di perfezione, fonte di energia, dove l'unione di cerchio e quadrato è utilizzata per racchiudere spazi sacri e visualizzazioni del reale.
Per Filippo Patella, il mandala è luogo del sensibile e luogo della realtà, nuova dimensione dell'Essere alla ricerca di sé, produzione di forme pure.
Incorporato nel processo di formazione estetica, esso è coltivato come disciplina progettuale ed espressiva insieme, luogo della mente, del cuore, del corpo dell'artista.
«Eseguire un mandala è un rito» dice l'artista stesso, esprimendo accanto alla ritualità del fare, la volontà di ricomporne l'unità creativa di teoria e prassi nel nome di una corrispondenza tra fare e ideare, agire e progettare, che diviene cifra stilistica connotante tutto il suo lavoro.
I mandala di Patella, sfruttando tutte le possibili figurazioni che cerchio e quadrato suggeriscono, propongono una grande multiformità di tracciati e pervengono spesso alla circonferenza centrale attraverso poligoni regolari, forme a croce, a stella, simmetrie radiali, etc.
A volte gli schemi compositivi assumono ritmi rotatori di complementarità e d'alternanza, sino a creare giochi ottici ed effetti percettivi ambigui.
Complessa appare anche la tecnica esecutiva caratterizzata da una variabilissima sperimentazione materica. Difatti, con grande disinvoltura, l'artista passa da un materiale all'altro, diversificando le strategie d'uso che sommano al pigmento pittorico la tecnica raffinatissima del mosaico e coinvolgendo - senza preclusioni - reperti naturali (legni grezzi o trattati), frammenti di vetro, polveri macinate e legate con resine epossidiche, tessere di Murano, marmi locali, pietre e schegge variopinte...
Leggere trasparenze di impasti misteriosi, scabrosità aggettanti di cubetti irregolari, riflessi evanescenti di tessere policrome: l'attento lavoro di superficie che rende i piani ora rugosi e porosi, ora lucenti e lisci, ora taglienti, incisi, intagliati o morbidamente dorati, crea coinvolgenti effetti tattili. Ad essi si aggiungono gli effetti percettivi prodotti dai dosaggi cromatici di calibrati contrasti timbrici o di ampi accordi tonali, che esplodono e implodono secondo gli schemi di un'accurata impaginazione visiva.
La visione d'insieme di questi tracciati mandalici evidenzia, dunque, tutto il rigore della serena corrispondenza di forze visive sospese tra l'inquietudine vitale della ricerca materica e la spazialità meditata dei percorsi formali. Maria Vinella
L'esperienza dell'arte come luogo, luogo mentale e luogo del visibile, luogo della forma e del gesto, della parola e del pensiero, pervade l'opera di Filippo Patella.
Mai luogo del vuoto né dell'assenza, l'arte non è per lui pura idea astratta o mera raffigurazione del reale, ma è piuttosto pratica vitale.
Una pratica complessa e articolata connessa ad una ricerca più che ventennale sui mandala. I mandala sono complicate rappresentazioni simboliche che presentano una infinita varietà di figurazioni. In sanscrito mandala significa cerchio, ma non solo: le forme mandaliche, nella assunzione di molteplici significati simbolici, sono proiezioni geometriche del processo vitale dell'universo, raffigurazioni dell'ininterrotto fluire del tempo cosmico, paradigmi dell'evoluzione e dell'involuzione del mondo.
In talune pratiche religiose o in psicologia, i mandala sono immagini circolari che disegnate, dipinte, modellate, variamente tracciate (figure di danza mandaliche si eseguono nei monasteri dervisci), aiutano la meditazione e la concentrazione.
L'interpretazione junghiana li considera figure del pensiero, immagini del raggiunto equilibrio. Segnati sul terreno e usati come pianta per la costruzione di edifici, i mandala sono segno di perfezione, fonte di energia, dove l'unione di cerchio e quadrato è utilizzata per racchiudere spazi sacri e visualizzazioni del reale.
Per Filippo Patella, il mandala è luogo del sensibile e luogo della realtà, nuova dimensione dell'Essere alla ricerca di sé, produzione di forme pure.
Incorporato nel processo di formazione estetica, esso è coltivato come disciplina progettuale ed espressiva insieme, luogo della mente, del cuore, del corpo dell'artista.
«Eseguire un mandala è un rito» dice l'artista stesso, esprimendo accanto alla ritualità del fare, la volontà di ricomporne l'unità creativa di teoria e prassi nel nome di una corrispondenza tra fare e ideare, agire e progettare, che diviene cifra stilistica connotante tutto il suo lavoro.
I mandala di Patella, sfruttando tutte le possibili figurazioni che cerchio e quadrato suggeriscono, propongono una grande multiformità di tracciati e pervengono spesso alla circonferenza centrale attraverso poligoni regolari, forme a croce, a stella, simmetrie radiali, etc.
A volte gli schemi compositivi assumono ritmi rotatori di complementarità e d'alternanza, sino a creare giochi ottici ed effetti percettivi ambigui.
Complessa appare anche la tecnica esecutiva caratterizzata da una variabilissima sperimentazione materica. Difatti, con grande disinvoltura, l'artista passa da un materiale all'altro, diversificando le strategie d'uso che sommano al pigmento pittorico la tecnica raffinatissima del mosaico e coinvolgendo - senza preclusioni - reperti naturali (legni grezzi o trattati), frammenti di vetro, polveri macinate e legate con resine epossidiche, tessere di Murano, marmi locali, pietre e schegge variopinte...
Leggere trasparenze di impasti misteriosi, scabrosità aggettanti di cubetti irregolari, riflessi evanescenti di tessere policrome: l'attento lavoro di superficie che rende i piani ora rugosi e porosi, ora lucenti e lisci, ora taglienti, incisi, intagliati o morbidamente dorati, crea coinvolgenti effetti tattili. Ad essi si aggiungono gli effetti percettivi prodotti dai dosaggi cromatici di calibrati contrasti timbrici o di ampi accordi tonali, che esplodono e implodono secondo gli schemi di un'accurata impaginazione visiva.
La visione d'insieme di questi tracciati mandalici evidenzia, dunque, tutto il rigore della serena corrispondenza di forze visive sospese tra l'inquietudine vitale della ricerca materica e la spazialità meditata dei percorsi formali. Maria Vinella
Mandala
Da 41 anni mi occupo di mandala. Ho iniziato nel 1969 a studiare la filosofia indiana antica e mi sono subito confrontato con le tematiche psicologiche del mandala. A partire dal 1976 ho realizzato ogni anno, sistematicamente, uno o più mandala, con le tecniche artistiche più diverse: pittura, calcografia, mosaico.
Le parole non mi aiutano molto a spiegare cosa significa fare un mandala: è una realtà che non può essere tradotta in qualsiasi altra forma di espressione che non sia quella derivante dalla presenza stessa del mandala realizzato. Le parole possono cercare di illustrare l'architettura tecnica (e nel mosaico questo è, forse, più aderente) che negli anni ho edificato, quale strumento operativo: le parole possono anche elencare quello che rifiuto e non accetto, come persona e come artista; alla fine, rimandano inevitabilmente alle opere e solo queste sono state e sono la mia guida.
Queste righe sono una specie di manuale di istruzioni per l'uso: la complessità degli argomenti mi ha indotto a realizzare questo piccolo libro secondo una formula anomala che, appunto, richiede qualche nota.
E' possibile che alcuni brani, staccati brutalmente dal contesto globale dell'opera, risultino all'inizio ostici: invito i Lettori a non soffermarsi sul singolo brano, ma solo sulla natura complessiva della scelta effettuata.
Dalla variegata e vasta bibliografia riguardante i mandala ho selezionato alcune pagine di quattro autori che hanno accompagnato alcuni momenti della mia ricerca: Rudolf Arnheim, Giuseppe Tucci, Carl Gustav Jung, Georges Poulet.
Arnheim. La scelta del cerchio per rappresentare graficamente il mandala non è da parte mia una scelta assoluta: alcuni miei mandala (specie alcuni realizzati in calcografia) hanno diversa forma geometrica. Il cerchio, tuttavia, per la sua forma e per le dinamiche espressive e percettive connesse, resta la configurazione primaria.
Tucci. Il mandala è una proiezione geometrica del mondo, un cosmogramma, e questa è la sua parte esterna, superficiale; realizzato da me, il mandala diventa uno psicocosmogramma, lo schema della mia rappresentazione umana. I miei mandala sono il risultato di una ritualità personale, non seguono i dettami precisi e perfetti dei maestri buddhisti. D'altra parte, le lunghe e dettagliate descrizioni fatte da Tucci e che ho riportato integralmente, non mi appartengono se non per il rigore formale degli adempimenti da compiere. In stretta relazione con questo rigore formale (sostanziale quando si applica alla dottrina buddhista) io ho perfezionato una mia liturgia che mi fa accedere a dei livelli complessi di "fare arte".
Jung. La conformità dei mandala non può essere spiegata. Fossi io un esaminatore attento e particolarmente minuzioso nella ricerca, non riuscirei a stabilire legami tra le parole e la verità racchiusa nelle "opere" che vado realizzando da tempo. Il breve saggio di Jung esaurisce ogni possibile curiosità sulle motivazioni psicologiche indotte dai mandala.
Poulet. «Non le modificazioni di una forma che per definizione non è modificabile, ma i cambiamenti di significato a cui essa non ha mai cessato di prestarsi nello spirito umano: queste sono le Metamorfosi del Cerchio che Poulet analizza per scoprire le mutazioni corrispondenti nel modo con cui gli individui si rappresentano ciò che vi è in essi di più intimo, la loro coscienza dello spazio e del tempo. La forma archetipica del cerchio viene assunta come immagine ora cosciente ora inconscia della spazialità dello spirito e rintracciata, svelata, descritta attraverso tutte le trasformazioni che ha subito nella letteratura e nel pensiero occidentali dal Medioevo fino alla poesia contemporanea».
La mia formazione classica mi ha indicato gli autori e le opere che in modo più evidente "raccontavano" storie, percorsi e dinamiche umane letterariamente affini alla mia storia personale.
Da 41 anni mi occupo di mandala. Ho iniziato nel 1969 a studiare la filosofia indiana antica e mi sono subito confrontato con le tematiche psicologiche del mandala. A partire dal 1976 ho realizzato ogni anno, sistematicamente, uno o più mandala, con le tecniche artistiche più diverse: pittura, calcografia, mosaico.
Le parole non mi aiutano molto a spiegare cosa significa fare un mandala: è una realtà che non può essere tradotta in qualsiasi altra forma di espressione che non sia quella derivante dalla presenza stessa del mandala realizzato. Le parole possono cercare di illustrare l'architettura tecnica (e nel mosaico questo è, forse, più aderente) che negli anni ho edificato, quale strumento operativo: le parole possono anche elencare quello che rifiuto e non accetto, come persona e come artista; alla fine, rimandano inevitabilmente alle opere e solo queste sono state e sono la mia guida.
Queste righe sono una specie di manuale di istruzioni per l'uso: la complessità degli argomenti mi ha indotto a realizzare questo piccolo libro secondo una formula anomala che, appunto, richiede qualche nota.
E' possibile che alcuni brani, staccati brutalmente dal contesto globale dell'opera, risultino all'inizio ostici: invito i Lettori a non soffermarsi sul singolo brano, ma solo sulla natura complessiva della scelta effettuata.
Dalla variegata e vasta bibliografia riguardante i mandala ho selezionato alcune pagine di quattro autori che hanno accompagnato alcuni momenti della mia ricerca: Rudolf Arnheim, Giuseppe Tucci, Carl Gustav Jung, Georges Poulet.
Arnheim. La scelta del cerchio per rappresentare graficamente il mandala non è da parte mia una scelta assoluta: alcuni miei mandala (specie alcuni realizzati in calcografia) hanno diversa forma geometrica. Il cerchio, tuttavia, per la sua forma e per le dinamiche espressive e percettive connesse, resta la configurazione primaria.
Tucci. Il mandala è una proiezione geometrica del mondo, un cosmogramma, e questa è la sua parte esterna, superficiale; realizzato da me, il mandala diventa uno psicocosmogramma, lo schema della mia rappresentazione umana. I miei mandala sono il risultato di una ritualità personale, non seguono i dettami precisi e perfetti dei maestri buddhisti. D'altra parte, le lunghe e dettagliate descrizioni fatte da Tucci e che ho riportato integralmente, non mi appartengono se non per il rigore formale degli adempimenti da compiere. In stretta relazione con questo rigore formale (sostanziale quando si applica alla dottrina buddhista) io ho perfezionato una mia liturgia che mi fa accedere a dei livelli complessi di "fare arte".
Jung. La conformità dei mandala non può essere spiegata. Fossi io un esaminatore attento e particolarmente minuzioso nella ricerca, non riuscirei a stabilire legami tra le parole e la verità racchiusa nelle "opere" che vado realizzando da tempo. Il breve saggio di Jung esaurisce ogni possibile curiosità sulle motivazioni psicologiche indotte dai mandala.
Poulet. «Non le modificazioni di una forma che per definizione non è modificabile, ma i cambiamenti di significato a cui essa non ha mai cessato di prestarsi nello spirito umano: queste sono le Metamorfosi del Cerchio che Poulet analizza per scoprire le mutazioni corrispondenti nel modo con cui gli individui si rappresentano ciò che vi è in essi di più intimo, la loro coscienza dello spazio e del tempo. La forma archetipica del cerchio viene assunta come immagine ora cosciente ora inconscia della spazialità dello spirito e rintracciata, svelata, descritta attraverso tutte le trasformazioni che ha subito nella letteratura e nel pensiero occidentali dal Medioevo fino alla poesia contemporanea».
La mia formazione classica mi ha indicato gli autori e le opere che in modo più evidente "raccontavano" storie, percorsi e dinamiche umane letterariamente affini alla mia storia personale.
Filippo Maria Patella